Il coaching

Il coaching moderno è stato inizialmente proposto da Tim Gallwey nel famosissimo libro “The inner game of tennis” (Gallwey, 1974). Gallwey era l’allenatore della squadra di tennis della Harvard University e cercò di individuare un metodo efficace per migliorare le prestazioni dei giocatori. Negli anni ’70 imparò la tecnica meditativa che gli suggerì di rivolgere l’attenzione all’interno di Sé stessi piuttosto che all’esterno poiché “l’avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che abbiamo dall’altra parte della rete”. Attraverso un’osservazione accurata e non-giudicante dei propri comportamenti, il corpo aggiusta automaticamente i movimenti aumentando la performance. Questo rivolgere l’attenzione all’interno favorisce lo sviluppo del proprio “potenziale” e diminuisce le “interferenze” interne. Ecco dunque che potenziare risorse interiori e riuscire ad esprimerle all’esterno diventa un aspetto centrale dell’approccio introdotto da Gallwey che mira ad accrescere l’auto-efficacia percepita e a raggiungere performance ottimali.

L’approccio “inner game” poteva essere applicato a molti ambiti oltre lo sport, in particolare nel mondo aziendale. In questo ambito decisivo è stato il contributo dato da John Withmore (Whitmore, 1995). Withmore, inizialmente collaborò con Gallwey e successivamente portò l’approccio condiviso con Gallwey a maturazione nell’ambito aziendale introducendo il famoso metodo GROW (Goals, Reality, Options, Will) (Whitmore, 1995). Il modello GROW è uno dei metodi più comunemente usati per strutturare la conversazione di una sessione di coaching. Ogni lettera dell’acronimo GROW rappresenta una fase della sessione: la prima inizia definendo l’obiettivo della sessione, poi coach e coachee esplorano la realtà attuale prima di sviluppare piani di azione futuri, poi procedono con l’individuare gli specifici passi che definiscono la strategia da seguire per il raggiungimento degli obiettivi. Va notato che questo processo non è lineare, ma iterativo e si realizza con la conversazione tra coach e coachee che si sposta avanti e indietro tra le fasi per affinare e chiarire la migliore linea d’azione. Ogni sessione di coaching termina con l’individuazione di azioni chiaramente definite da mettere in atto prima della prossima sessione di coaching. La sessione di coaching successiva inizia esaminando e valutando le azioni compiute nel tempo tra la sessione precedente e l’attuale, prima di passare a stabilire un obiettivo per la sessione attuale (Brown, & Grant, 2010). Lo strumento centrale del metodo sono le cosiddette domande “potenti” che il coach pone al cliente, come mezzi per stimolare la consapevolezza della situazione, degli obiettivi, delle strategie, degli ostacoli (Stoltzfus, 2008).

Diversi altri interessanti contributi si possono trovare nella letteratura recente sul coaching. Citiamo innanzitutto quello del professor Anthony Grant che nel 2000 ha fondato, primo nel mondo, un dipartimento di Coaching Psychology presso la School of Psychology dell’Università di Sydney (Grant, 2003; Grant, 2007; Grant, & Green, 2004). Grant introduce il Self-regulatory goal-oriented cycle che consiste in una serie di step successivi che mirano a raggiungere l’obiettivo fissato utilizzando le abilità di autoregolazione del coachee (chi riceve il coaching) facilitate dal coach (Grant, 2003). La caratteristica di auto-regolazione del ciclo si basa su abilità di auto-consapevolezza, auto-riflessione, metacognizione, insight.  Con tali capacità il coachee, facilitato dal coach, si muove lungo il ciclo che consiste nei seguenti passi: nel primo passo il coachee definisce gli obiettivi da raggiungere e sviluppa un piano d’azione per raggiungerli, successivamente si impegna nell’azione, durante la messa in pratica del piano di azione monitora le attività con l’auto-riflessione e la consapevolezza; successivamente valuta le sue prestazioni e ciò che ha raggiunto. In questa fase possono sopraggiungere insight sulla situazione. Se i risultati della valutazione sono positivi si esce dal ciclo e si attesta il successo, se negative si modifica quello che non ha funzionato e si migliora quello che ha funzionato continuando a muoversi lungo il ciclo al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi.

Un altro importante contributo viene dai fondatori del Coaches Training Institute (CTI), Laura Whitworth, Karen and Henry Kimsey-House, che hanno introdotto, negli anni ’80, il co-active coaching basato sul bilanciamento dell’auto-consapevolezza, sull’agilità nelle relazioni e sulle azioni coraggiose per creare un ambiente in cui le persone possano essere pienamente soddisfatte, connesse con gli altri e possano avere successo in ciò che è importante nella loro vita (Kimsey-House, Sandahl, & Whitworth, 2011). ).

Infine citiamo il contributo di Julie Starr (2007) che nel libro “The coaching manual” copre tutti gli elementi essenziali del coaching e rappresenta una ottima guida per i coach.

La definizione di coaching

La International Coaching Federation (ICF) definisce il coaching, come un “partnering with clients in a thought-provoking and creative process that inspires them to maximize their personal and professional potential“. Un altra interessante definizione la troviamo in Grant (2003) a proposito del life-coaching: “Life coaching can be broadly defined as a collaborative solution focused, result-orientated and systematic process in which the coach facilitates the enhancement of life experience and goal attainment in the personal and/or professional life of normal, nonclinical clients”. Il coaching è dunque una relazione tra due partner, il coach e il coachee (colui che riceve il coaching), nella quale uno dei due partner, il coach, serve all’altro come facilitatore di consapevolezza. Tale azione di facilitazione da parte del coach avviene attraverso la capacità di ascolto e la formulazione di opportune domande “potenti” poste al coachee.

L’ascolto attivo e le domande potenti

Secondo Stoltzfus “Questions hold the power to cause us to think, create answers we believe in, and motivate us to act on our ideas. Asking moves us beyond passive acceptance of what others say, or staying stuck in present circumstances, to aggressively applying our creative ability to the problem.” (Stoltzfus, 2008). Le domande sono centrali nel lavoro svolto dal coach nel setting ed è cruciale riuscire a formularne in maniera “potente”. Le domande potenti del coach sono quelle domande che riflettono un ascolto attivo e la comprensione della prospettiva del coachee, che stimolano scoperta, introspezione, apertura a nuove visioni, che spingono il coachee verso ciò che desidera piuttosto che a giustificarsi e guardarsi indietro. Come si è detto le domande potenti scaturiscono da un “ascolto attivo” da parte del coach per il coachee. L’ascolto attivo si basa sulla capacità del coach: di rispettare i programmi del coachee, di ascoltare le sue questioni, i suoi obiettivi, i suoi valori e le convinzioni a proposito di ciò che è o non è possibile per lui; di distinguere tra le parole, il tono della voce, ed il linguaggio del corpo; di riassumere, parafrasare, reiterare, rispecchiare ciò che il coachee ha detto, per assicurare chiarezza e comprensione; di incoraggiare, accettare, esplorare e sostenere il coachee nell’ espressione di sentimenti, percezioni, questioni, convinzioni e suggerimenti; di integrare ed elaborare le idee ed i suggerimenti del coachee; di focalizzare o riconoscere l’essenza della comunicazione del coachee e aiutarlo ad arrivarci; di permettere di dar libero sfogo al coachee e di chiarire la situazione senza dare giudizi o pareri.

Le 11 competenze chiave di un coach (secondo ICF)

La ICF indica in maniera piuttosto precisa quali debbano essere le competenze di un coach per offrire un efficace servizio di coaching.  Le riportiamo perché riteniamo siano la base su cui fondare un servizio di valore:

1) Ottemperare alle linee guida etiche e agli standard professionali – Comprendere l’etica e gli standard del coaching e essere in grado di applicarli in maniera appropriata in tutte le situazioni di coaching.

2) Stabilire l’accordo di coaching – Capacità di comprendere ciò che è necessario nella specifica interazione di coaching e di concordare con il potenziale e nuovo cliente i termini del processo di coaching e della relazione

3) Stabilire fiducia e vicinanza con il cliente – Capacità di creare un ambiente sicuro e di supporto che genera continuo rispetto reciproco e fiducia

4) Presenza nel coaching – Abilità di essere completamente consapevole e di creare una relazione spontanea con il cliente, impiegando uno stile aperto, flessibile e fiducioso

5) Ascolto attivo – Capacità di concentrarsi completamente su ciò che il cliente sta dicendo e non sta dicendo, di comprendere il significato di ciò che viene detto nel contesto dei desideri del cliente, e di sostenere l’espressione di sé del cliente.

6) Domande Potenti – Capacità di porre domande che portano alla superfice le informazioni necessarie per beneficiare al massimo la relazione di coaching ed il cliente.

7) Comunicazione diretta – Capacità di comunicare in modo efficace nel corso delle sessioni di coaching e di utilizzare un linguaggio che abbia il maggior impatto positivo sul cliente

8) Creare consapevolezza – Capacità di integrare e di valutare con precisione diverse fonti di informazione, e di fare interpretazioni che aiutino il cliente a ottenere consapevolezza e quindi raggiungere risultati prefissati

9) Progettazione di azioni – Capacità di creare con il cliente opportunità per l’apprendimento, durante il coaching e in situazioni di lavoro/vita e per intraprendere nuove azioni che porteranno il più efficacemente possibile ai risultati di coaching prefissati

10) Pianificare e stabilire obiettivi – Capacità di sviluppare e mantenere un piano di coaching efficace con il cliente

11) Gestire i progressi e le responsabilità – Capacità di mantenere l’attenzione su ciò che è importante per il cliente e di lasciargli la responsabilità di agire.

L’impiego del coaching

A partire dallo sport dove ha trovato le sue radici, il coaching è stato ampiamente promosso negli ultimi trent’anni in contesti aziendali, con ​​setting individuali o di gruppo (Grant, 2003; Goldsmith, 2010; Kets de Vries, 2015) e in ambiti privati con il cosiddetto life-coaching (Grant, & Green, 2004). Il coaching è stato anche introdotto in contesti accademici per migliorare le prestazioni degli studenti e promuovere l’auto-regolazione orientata agli obiettivi (Van Nieuwerburgh, 2012). In particolare il coaching può stimolare l’autoefficacia e facilitare gli studenti a muoversi attraverso in ciclo introdotto da Grant (Grant, 2003) che in questo contesto può definirsi come un “self-regulated academic goal oriented cycle”.  Il ciclo consiste in successivi passi orientati al raggiungimento dell’obiettivo: nel primo passo gli studenti sviluppano un piano d’azione. Successivamente si impegnano nell’azione, monitorano le prestazioni e valutano le prestazioni. Infine, sulla base di questa valutazione, modificano l’azione, al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi e massimizzare il loro potenziale accademico. Alcuni ricercatori hanno affermato che il coaching sta emergendo come un potenziale approccio per facilitare il processo di auto-miglioramento (Deiorio, Carney, Kahl, Bonura, & Juve, 2016) e che gli studenti che hanno ricevuto coaching hanno maggiori probabilità di raggiungere i loro obiettivi accademici e sono più motivati ​​a continuare a frequentare l’università un anno dopo la conclusione di un percorso di coaching (Bettinger, & Baker, 2011). Inoltre, uno studio condotto a livello universitario, ha dimostrato che il coaching influenza positivamente la motivazione e l’auto-regolazione negli studenti PhD (Lech, van Nieuwerburgh, & Jalloul, 2017).

Il Group Coaching

Il coaching di gruppo, in aggiunta a quello individuale, introduce un processo di condivisione che incoraggia intuizioni e discernimento. I partecipanti approfittano delle esperienze di altri membri del gruppo per sviluppare una crescita personale. Inoltre, il gruppo crea uno spazio sicuro in cui i partecipanti possono parlare apertamente senza preoccuparsi del giudizio e della privacy e all’interno del quale si attivano processi di consapevolezza individuale (Brown, & Grant, 2010; Gorell, 2013). Nei momenti di condivisione, ogni membro del gruppo condivide con gli altri qualcosa di Se come emozioni, sentimenti e pensieri. La condivisione nel gruppo si basa sul cosiddetto ascolto attivo in cui coloro che ascoltano sono pronti ad accettare ciò che l’altro porta nel gruppo senza giudicare e senza interpretandolo. Il coach è un facilitatore piuttosto che un esperto o un consulente, quindi non interferisce durante la condivisione individuale ma solo alla fine quando, usando opportune e “potenti” domande, approfondisce l’auto-consapevolezza e facilita la comprensione e gli insight (Brown, & Grant, 2010; Stoltzfus, 2008).

Il Mindfulness-based Coaching

Il coaching e la mindfulness sono entrambi efficaci nel migliorare l’apprendimento: il coaching agisce sugli aspetti motivazionali e sull’auto-regolazione orientata agli obiettivi  (Bettinger, & Baker, 2011; Deiorio, Carney, Kahl, Bonura, & Juve, 2016; Lech, van Nieuwerburgh, & Jalloul, 2017);  la mindfulness agisce sulle abilità cognitive e metacognitive (Hussain, 2015; Jankowski, & Holas, 2014;  Fabio, & Towey, 2017; Zeidan, Johnson, Diamond, David, & Goolkasian, 2010), sulla regolazione emotiva e sulla auto-consapevolezza (Tang, Hölzel, & Posner, 2015), sulla regolazione dell’attenzione (Lutz, Slagter, Dunne, & Davidson, 2008). È stato poi mostrato che l’introduzione della mindfulness nel setting di coaching migliora gli effetti del coaching stesso (Cavanagh, & Spence, 2013; Chaskalson, & McMordie, 2017; Collard, & Walsh, 2008; Kemp, 2016; Passmore, & Marianetti, 2007; Spence, Cavanagh, & Grant, 2008). In particolare Cavanagh e Spence (2013) sottolineano “l’accettazione” come un fattore presente nel coaching e nella mindfulness in modo che quest’ultima possa favorire l’efficacia del coaching; Collard e Walsh (2008) hanno introdotto un training di mindfulness nel coaching per ridurre lo stress nei coachee (coloro che ricevono il coaching) e rendere il coaching più efficace; Kemp (2016) afferma che coaching e mindfulness hanno entrambi  aspetti che riguardano l’educazione e la formazione e che potrebbe essere utile integrare i due approcci; Passmore e Marianetti (2007), per primi hanno proposto la mindfulness per i coachee oltre che per i coach e hanno affermato che il coaching può essere migliorato da un training preparatorio di mindfulness; infine Virgili (2013) ha introdotto il “Mindfulness-based Coaching” e ha sottolineato l’importanza, in termini di efficacia, dell’attenzione al momento presente e della consapevolezza non giudicante introdotta dalla mindfulness nella sessione di coaching.