La mindfulness

La meditazione mindfulness deriva da una pratica utilizzata da 2500 anni nel buddhismo. In due fondamentali discorso trascritti in lingua Pali da insegnamenti tramandati oralmente, l’Anapanasati Sutta (Ajahn Sucitto 2000; Ajahn Sucitto 2002; Thich Nhat Hanh, 1994), e il Satipatthana Sutta (Bhikkhu Analayo 2004; Goldstein 2016; Thich Nhat Hanh, 1992b), il Buddha ci descrive una pratica meditativa che consiste nell’orientare con consapevolezza l’attenzione verso ciò che possiamo percepire nel momento presente come il respiro naturale e le sensazioni del nostro corpo (calore, dolore, vibrazioni, ….), verso il tipo di sensazioni  (piacevole, spiacevole e neutra) generate dalle percezioni osservate nel corpo, verso gli stati di coscienza che rilevano gli stati della mente (torpore mentale, chiarezza, agitazione ….), e verso gli “oggetti mentali” (pensieri discorsivi, concetti, immagini ….).

La parola utilizzata in lingua Pali per descrivere la consapevolezza di ciò che c’è nel momento presente, è sati. Fu l’orientalista Thomas W. Rhys Davids che per primo utilizzo il termine “mindfulness” per tradurre la parola pali sati. In realtà mindfulness significa ricordare piuttosto che essere consapevoli, per quest’ultimo concetto si può utilizzare più propriamente la parola awareness. Tuttavia l’aspetto del ricordare del termine mindfulness riesce a descrivere propriamente l’atteggiamento di sati che è quello di ricordarci di essere consapevoli verso quello che c’è nel momento presente con un atteggiamento accettante e non giudicante, lasciando andare tutto ciò che la nostra mente evoca dal passato e prevede del futuro. Mindfulness è la consapevolezza che si attiva attraverso il portare attenzione al processo dell’esperienza psico-corporea così come si svolge momento per momento. In letteratura sono state date tantissime definizioni di mindfulnesseccone alcune: mindfulness è “mantenere la propria consapevolezza viva sulla realtà del presente” (Thich Nhat Hanh, 1987, p.11, nostra traduzione); oppure è  “la consapevolezza che emerge dal prestare attenzione di proposito, nel momento presente e in maniera non giudicante, al fluire dell’esperienza, momento dopo momento” (Kabat-Zinn, 2003, p. 145, nostra traduzione), o anche “un attenzione ricettiva e una consapevolezza degli eventi e delle esperienze del momento presente” (Brown, & Ryan, 2007, p. 112, nostra traduzione), ed infine anche “la creazione di nuove categorie, l’apertura a nuove informazioni, e la consapevolezza di molteplici prospettive” (Langer, 2000, p. 2, nostra traduzione).

Il fatto che la meditazione mindfulness spesso si chiami semplicemente mindfulness sottolinea il fatto che con questo termine si vuole indicare sia una pratica meditativa sia, più in generale, un’attitudine consapevole nello svolgimento delle attività del nostro quotidiano. Quest’attitudine si sviluppa dalla capacità di essere presente in ogni momento della nostra vita osservando quello che c’è con consapevole attenzione non giudicante. Quindi, un’osservazione equanime della vita che si muove fuori e dentro di noi. Possiamo dire che è una facoltà della mente che può essere coltivata e sviluppata, attraverso la meditazione, assieme ad altri fattori quali la concentrazione e la comprensione di ciò che è salutare e ciò che non è salutare per noi. Si parla di approccio mindfulness al vivere che nel tempo diventa caratterizzante della persona che acquista un tratto mindfulness della personalità. Questo stile di vita, ma anche quindi questo tratto di personalità, può essere allenato con la pratica meditativa.

I benefici

Molti contributi rintracciabili in letteratura hanno indagato i benefici ottenuti dall’uso della pratica della meditazione mindfulness e, più in generale, di uno stile di vita mindfulness (Brown, Ryan, & Creswell, 2007; Sedlmeier, Eberth, Schwarz, Zimmermann, Haarig, Jaeger, & Kunze, 2012). Diversi esperimenti sono stati realizzati nell’ambito delle scienze cognitive e delle neuroscienze, volti a misurare come la mindfulness agisca sulla cognizione, le emozioni, il comportamento e la fisiologia del cervello. I risultati hanno mostrato che la mindfulness migliora le capacità attentive e sviluppa la capacità di rivolgersi alle esperienze del presente con consapevolezza, apertura e accettazione (Lutz, Slagter, Dunne, & Davidson, 2008; Tang, Hölzel, & Posner, 2015; Chiesa, Calati, & Serretti, 2011). È stato mostrato anche come da queste abilità derivino i seguenti benefici (Good et al., 2016):

  • aumento dell’autoregolazione emotiva e della capacità di gestire lo stress,
  • aumento della consapevolezza di Sé e della percezione di auto efficacia,
  • aumento della capacità e flessibilità cognitiva, sviluppo delle capacità metacognitive,
  • aumento dell’autoregolazione nei comportamenti e riduzione dell’automatismo delle risposte,
  • aumento della neuroplasticità e rallentamento dell’invecchiamento cerebrale.

La pratica della meditazione mindfulness nasce in un contesto spirituale, quello Buddhista, nel quale è considerato un mezzo per poter raggiungere il “risveglio”, la condizione nella quale ci si è liberati della sofferenza e si è raggiunto uno stato di saggia e compassionevole beatitudine. Tuttavia, grazie ai suoi benefici sopra brevemente descritti, la mindfulness si è diffusa in Occidente anche in ambiti non interessati unicamente dalla ricerca spirituale: in generale quello del wellness (e.g. Brown, & Ryan, 2003; Shapiro, Oman, Thoresen, Plante,  & Flinders, 2008), quello del lavoro aumentando la performance e migliorando le relazioni interpersonali (e.g. Dane, 2011; Hyland, Lee, & Mills, 2015; Pinck, & Sonnentag, 2017; Sutcliffe, Vogus, & Dane, 2016), quello dell’education aumentando la capacità di apprendimento e la performance accademica (e.g. Hassed, & Chambers, 2014; Shapiro, Brown, & Astin, 2011).

La mindfulness si è diffusa in Occidente inizialmente negli anni ’70, nel contesto clinico con il protocollo MBSR (Mindful Based Stress Reduction) proposto da Kabat Zinn (2003) per la riduzione dello stress in malati terminali. Questo protocollo, strutturato in otto incontri di circa due ore istruisce i partecipanti alla pratica meditativa e allo sviluppo di un’attitudine consapevole nelle attività quotidiane, come ad esempio nel consumo dei pasti. Il fatto che questo training sia stato codificato in un protocollo ha contribuito alla diffusione dell’MBSR, oltre che in ambito clinico, in altri ambiti istituzionali come quello aziendale e quello universitario, dove è risultato conveniente utilizzare procedure standardizzate. A differenza degli ambiti organizzativo-istituzionali, l’ambito privato di crescita e sviluppo personale trova una miriade di diversi corsi. Le offerte si differenziano rispetto alla durata, alla struttura del corso e alla ispirazione, quest’ultima può essere più o meno orientata alla filosofia buddhista. Gli obiettivi dei singoli per lo più sono legati al miglioramento della qualità della propria vita, quindi alla riduzione dello stress e dell’ansia, all’incremento delle capacità cognitive, al conseguimento di uno stato d’animo positivo e pacificato.

Come si pratica

La pratica meditativa mindfulness consiste nel dedicare un periodo di tempo pre-stabilito all’assunzione di una posizione comoda, durante la quale si chiuderanno gli occhi rivolgendo l’attenzione al proprio respiro naturale e alle sensazioni che questo genera nel corpo. Quando sorgono, e ciò è inevitabile, pensieri, immagini, ricordi, e in generale qualsiasi formazione mentale, occorre riportare l’attenzione al respiro in maniera gentile, cercando cioè di non giudicare se stessi per essersi distratti. Anche quando la distrazione deriva da emozioni che sorgono inattese o già presenti dall’inizio della pratica, l’indicazione è quella di diventare un testimone che osserva il loro nascere, svilupparsi e cessare, cogliendone le sfumature, il mutare e il loro incarnarsi manifestandosi sotto forma di sensazioni corporee. Si cerca dunque di accettarle in modo equanime, osservandole, e quando possibile tornando a rivolgere l’attenzione alle sensazioni connesse al respiro.

Le formazioni mentali che sorgono durante la pratica meditativa, distolgono la mente dalla messa a fuoco sull’oggetto meditativo, ad esempio il respiro. Per ritornare all’oggetto di focalizzazione è necessario compiere tre passaggi: il primo è accorgersi di essersi distratti, il secondo è “lasciare andare” ciò che ci ha distratto, il terzo è ritornare all’esperienza dell’osservare l’oggetto meditativo come è nel momento presente. Le numerose ripetizioni di questo processo ciclico esperite durante la pratica meditativa, “allenano” la capacità attentive di focalizzazione su un oggetto definito e la capacità di monitorare, con accettazione non giudicante e quindi equanime, gli eventi esterni e le formazioni mentali che si presentano nel momento presente (Lutz, Slagter., Dunne, & Davidson, 2008). La pratica meditativa, si può dire, consiste proprio nel ripetere innumerevoli volte questo ritornare al respiro e alle sensazioni fisiche o, in generale, all’oggetto di meditazione. Con essa si sviluppano immediati benefici legati alla capacità di lasciarsi assorbire nell’oggetto meditativo e questo può condurre a stati di assorbimento che generano una sensazione di pace e calma, forieri di immediato benessere fisico e psicologico.

Esiste una versione della pratica formale che consiste nella cosiddetta “camminata consapevole”, cankama in lingua Pali. In questa pratica, ritenuta molto potente nella tradizione meditativa Buddhista, si rivolge l’attenzione alle sensazioni generate dal movimento dei piedi e dal contatto di questi con la terra durante la camminata. In questo caso si cercherà di applicare al movimento dei piedi, la stessa focalizzazione che si cerca di applicare al respiro nella “pratica seduta”. I benefici di questa pratica sono legati al fatto che in questo caso rivolgiamo l’attenzione ad una attività ordinaria come quella del camminare e ciò ci allena a portare la mindfulness nelle attività del vivere quotidiano.

Abbiamo già sottolineato che con mindfulness ci possiamo riferire alla pratica ma anche ad un tipo di attitudine verso le attività della vita. Questo doppio significato viene messo in evidenza dall’uso dei termini: stato di mindfulness e tratto di mindfulness. Quando le persone si impegnano in un training basato sulla mindfulness, si presume che la loro capacità di essere consapevoli durante la pratica meditativa aumenti, aumenta cioè lo stato di mindfulness. Inoltre, si presume che i risultati di tale pratica ripetuta nel tempo si traducano in qualcosa di più duraturo che riguarda la predisposizione ad essere consapevoli nella vita di tutti i giorni e cioè a sviluppare un tratto mindfulness della personalità. In altre parole quando gli individui generano stati di consapevolezza più profondi durante la meditazione, sviluppano una maggiore tendenza a mostrare attitudini e comportamenti mentali anche al di fuori della meditazione, nel contesto della vita quotidiana. E, come abbiamo ripetutamente ricordato, questo ha mostrato di giovare alla salute psicologica.

La mindfulness e l’università

 

Molti contributi teorici e sperimentali hanno sottolineato i benefici ottenuti dall’uso della pratica della meditazione mindfulness nell’università (Hassed, & Chambers, 2014; Shapiro, Brown, & Astin, 2011). In particolare è stato evidenziato che i benefici derivanti dalla pratica meditativa, come l’autoregolazione emotiva (Chambers, Gullone, & Allen, 2009, Tang et al., 2015), la regolazione dell’attenzione (Lutz et al., 2008), l’aumento della auto-consapevolezza (Tang et al., 2015) e dei processi cognitivi e metacognitivi (Hussain, 2015; Jankowski et al., 2014; Fabio et al., 2017; Zeidan et al., 2010) possono favorire un apprendimento efficace e i risultati accademici (Hassed et al., 2014; Shapiro et al., 2011). Citiamo anche l’approccio socio-cognitivo non meditativo alla mindfulness della professoressa Ellen Langer (1997, 2000), chiamato langerian mindfulness, che, per quanto riguarda il campo dell’apprendimento, afferma che lo stato di mindfulness sviluppa un pensiero flessibile che genera una grande sensibilità al contesto in cui agiamo creando nuove categorie concettuali, aprendo a nuove informazioni e alla consapevolezza su nuove prospettive di risoluzione dei problemi (Khoury, Knäuper, Pagnini, Trent, Chiesa e Carrière, 2017).

Sono stati fatti numerosi studi per valutare l’efficacia sul benessere, sulle capacità di apprendimento e sulle prestazioni accademiche di corsi di mindfulness limitata nel tempo (tipicamente 8 settimane) offerti agli studenti universitari (McConville, McAleer, & Hahne 2017, Todd, 2017). I risultati, in accordo con quanto previsto teoricamente, hanno dimostrato che la mindfulness migliora l’auto-regolazione (Canby, Cameron, Calhoun e Buchanan, 2015), aumenta l’auto-efficacia (es. Fallah, 2017), migliora le capacità attente (es. De Bruin, Meppelink, & Bögels, 2015), e le performance cognitive (Ching, Koo, Tsai e Chen, 2015). In un recente sistematico lavoro di review , McConville et al. (2017) hanno analizzato 19 studi, selezionati tra 5355, svolti in università mediche e sanitarie dove sono stati forniti e valutati training basati sulla mindfulness, e hanno concluso che tali interventi riducono lo stress, l’ansia e la depressione degli studenti universitari e migliorano la consapevolezza, l’umore, l’auto-efficacia e l’empatia. Di conseguenza, non sorprende che i training basati sulla mindfulness siano stati introdotti in modo permanente in diverse università in tutto il mondo. Bush (2011) ha riportato alcune esperienze, distribuite in tutti gli Stati Uniti, dove le pratiche meditative sono introdotte come strumenti di formazione in corsi universitari ordinari; Dobkin e Hutchinson (2013) hanno esaminato e confrontato esperienze compiute in quattordici università mediche dove sono state introdotti corsi di mindfulness, due dei quali hanno integrato la mindfulness nei loro curricula; infine citiamo il significativo contributo di Kuecher e Stedham (2017) che descrive come la mindfulness è stata incorporata in un corso MBA al fine di favorire un apprendimento di tipo trasformazionale (Taylor, 2007).

Oltre ai citati esempi di corsi brevi di mindfulness introdotti nelle università, va notato che in molte rinomate università, come l’università di Harvard (wellness.huhs.harvard.edu/Mindfulness) o l’Università di Oxford (oxfordmindfulness.org), viene offerto un addestramento permanente alla mindfulness, spesso all’interno di centri di servizi per il benessere, dove gli studenti possono imparare come gestire l’ansia e lo stress.

La Mindfulness e la metacognizione

L’apprendimento autoregolato richiede abilità di metacognizione, cioè la capacità di osservare il funzionamento della propria mente. Il concetto di metacognizione, introdotto da Flavell (1979), è stato ampiamente studiato in letteratura, evidenziando aspetti come il monitoraggio del proprio pensiero e dei propri livelli di attenzione, valutando le proprie procedure cognitive utilizzate, identificando possibili errori e pianificando eventuali correzioni. La metacognizione è necessariamente legata al concetto di consapevolezza, e per questo motivo ci sono diversi studi che correlano la metacognizione e gli effetti della mindfulness sulla cognizione (Hussain, 2015; Jankowski et al., 2014).

La Mindfulness e la regolazione dell’attenzione

La meditazione mindfulness può essere suddivisa in metodi che richiedono attenzione focalizzata (FA) e quelli che implicano un monitoraggio aperto dell’esperienza del momento presente (OM) (Lutz, Slagter., Dunne, & Davidson, 2008). Durante la pratica meditativa tipicamente si passa da una prima fase iniziale di FA, in cui si allena la mente a rivolgere un’attenzione “sostenuta” su un oggetto specifico, ad una di OM, dove si lascia che la mente esegua un monitoraggio non reattivo del contenuto dell’esperienza del momento. L’attenzione si dice focalizzata quando la mente non è nello stato chiamato della wandering mind, cioè della mente errante che vanga tra pensieri, immagini, emozioni senza avere una specifica meta.  In generale, regolare l’attenzione significa regolare le sue tre componenti di base: l’alerting (prontezza nel prepararsi a rilevare uno stimolo imminente), l’orienting (capacità di selezionare informazioni specifiche da più stimoli sensoriali, anche indicata come attenzione selettiva) e il conflict monitoring (monitoraggio e risoluzione del conflitto tra attività in differenti aree neurali, anche indicata come attenzione esecutiva). È stato mostrato da Tang, Hölzel e Posner (2015) che la praticata meditativa per lunghi periodi, agisce positivamente su tutte e tre le componenti della regolazione dell’attenzione. In particolare, Chiesa, Calati e Serretti (2011) hanno indicato le fasi di FA associate a significativi miglioramenti dell’attenzione selettiva ed esecutiva mentre le fasi di OM, caratterizzate da un monitoraggio aperto a stimoli interni ed esterni, associate a un miglioramento delle capacità di attenzione non focalizzata. Dunque hanno concluso che le prime fasi della meditazione potrebbero essere associate a miglioramenti nell’orienting e nel conflict monitoring, mentre le fasi successive potrebbe essere principalmente associate ad un miglioramento dell’alerting (Chiesa, Calati, & Serretti, 2011). Nello specifico nella fase di meditazione FA si susseguono le seguenti fasi: (a) lo sviluppo del conflict monitoring legato al continuo rilevamento della wandering mind, (b) il cambiamento di attenzione relativo al disimpegno da stimoli distraenti e ri-orientamento dell’attenzione verso gli oggetti bersaglio, (c) attenzione selettiva legata all’inibizione dei processi cognitivi diversi dal focus della concentrazione e, infine, quando la pratica avanza (d) livelli crescenti di attenzione sostenuta su un oggetto specifico.

Come si misura

Esistono diversi strumenti di misura della mindfulness utilizzati in letteratura nei diversi ambiti di impiego. Si tratta di questionari self-reported che misurano gli stati mindfulness raggiunti durante la pratica meditativa e i tratti mindfulness della personalità. Per quanto riguarda gli stati di mindfulness citiamo il Toronto Mindfulness Scale (TMS) (Lau et al., 2006). Per quanto riguarda la misura dei tratti di personalità citiamo i più importanti: il Five Facet Mindfulness Questionnaire (FFMQ) (Baer, Smith, Hopkins, Krietemeyer & Toney, 2006) e il Mindfulness Attention Awareness Scale (MAAS) (Brown et al., 2003) validato in Italia da Veneziani et al. (2013).